Succede che ti trasferisci lontana da casa e dalla tua vita per – BOH, meglio non definirlo, sia mai qualche parente incappasse in questo blog, ci rimarrebbe male. Ma ho già divagato troppo. Insomma succede che te ne vai da un posto che ami, da persone che ami e abbandoni una vita che ami per – ci risiamo, non ce la faccio, non mi riesce, non so utilizzare definizioni educate. Fatto sta che cambi tutto, riparti da zero, riparti da sola, impari veramente una lingua, studi in quella lingua, conosci un sacco di persone, il tuo mondo ruota attorno a – rieccoci, non mi dilungo.
Rivoluzioni le tue abitudini e piano piano fai tua una realtà che non senti mai tua fino in fondo ma decidi di fare tua. La indossi come si indossano dei jeans vintage, sformati da un culo e un paio di cosce che non sono le tue. Del resto era il prezzo da pagare per avere finalmente al tuo fianco un’idea fatta persona, un’ossessione costruita mattoncino dopo mattoncino a partire dal lontano 2005, da quanto questo BOH (chiamiamolo così, giusto per rispetto ai parenti) ha deciso di iniziare una partita con te, giocando e manovrando sapientemente le pedine e studiando le mosse per farti “sua” come si è sempre dilettato a chiamarti.
[NB – Questo BOH si è anche fatto prendere da te – dopo 11 anni speriamo, ma purtroppo la tipologia di maschio BOH (il sostantivo “uomo” mal si sposa con questo profilo di essere umano) è emotivamente disabile dunque, incapace di amare l’altro. Ogni particella di amore di cui è capace il BOH è in realtà un boomerang sparato in aria che prende per il collo le persone per portarle al proprio ego che aspetta fiducioso l’arrivo delle prede per divorarle pezzettino dopo pezzettino con i dentini aguzzi. Vero è che da quel boomerang ti ci devi far accalappiare e, ahimè, è quello che ha fatto la sottoscritta.]
Ma torniamo agli 11 anni. Ne erano passati 10 quando il BOH decide di levarsi tre passi dai coglioni. Ebbene sì. Dopo che lo avevi pregato di accettare un’offerta di lavoro in Italia, dopo averti promesso che Londra sarebbe stata la vostra casa per almeno un paio di anni, dopo aver firmato con te un contratto di affitto di 14 mesi, dopo che tu avevi trovato un lavoro (finalmente pagato e non uno di quei “vediamochesaifarepoiforsetiassumiamo” che esistono anche a Londra), il BOH decide che è arrivato il momento di inseguire il suo sogno di sempre: prendere LA QUARTA LAUREA. Ebbene sì, la quarta laurea (un doppio 110 e lode in Ingegneria distocazzo e un Master in Economia Aziendale e gestione delle brugole non bastavano). Ma non è tutto, perché non poteva essere una laurea qualunque. *suspance*
[NB vol 2 – La tipologia umana BOH deve necessariamente e sempre puntare verso un alto più alto di tutti, più in alto del K2, dell’Everest e della stratosfera, per poi raggiungere il traguardo e rimanere comunque e inesorabilmente insoddisfatto della propria esistenza, creando così un buco nero di infelicità che risucchia la joie de vivre del BOH e di coloro che lo amano, costretti a sostenere anno dopo anno, mese dopo mese, settimana dopo settimana le sue imprese di conquista del mondo. “La felicità sta nelle piccole cose” è un motto che il BOH reputa una grandissima cagata, una di quelle frasi che, sostiene il BOH, i falliti ripetono a se stessi per dare un senso alle proprie vite insignificanti prive di traguardi degni di Mignolo & il Prof.]
Il BOH decide di andare a studiare a Parigi, più precisamente a Fontamblé (lo so che si scrive Fontainebleau), per conseguire l’MBA più prestigioso dell’Universo, della Galassia e del Sottosopra, tanto prestigioso che anche gli alieni del pianeta StoKazzius fanno domanda da decenni senza essere ammessi, perché al momento dell’iscrizione si rifiutano di sborsare 60.000€. In tutto questo picco di entropia, ansia, urto, tristezza, delusione e chi più ne ha più ne metta, il BOH decide di chiedere la tua opinione. Ma certo, come se a) la tua opinione contasse e b) tu potessi essere sincera. Ovviamente avevi ragione nel supporre che le tue parole avrebbero fatto al BOH lo stesso effetto che nonno fa a nonna, e dunque il BOH se ne va via, non prima di aver passato la bellezza di tutto il mese di agosto dalla mamma.
Tu passi quel mese di agosto e il successivo settembre a dormire su un materassino gonfiabile della Decathlon da 20€ adagiato sulla moquette degli anni 50 lavata a cazzo in salotto, perché, per non dover pagare il suo affitto, il BOH chiede a un suo collega a te sconosciuto e alla sua ragazza ancor più sconosciuta di insediarsi in casa tua, in camera tua, nel vostro letto, mentre tu continui a pagare 600£ + bollette al mese per dormire in sala. Su un materassino. Per terra. La tua sistemazione successiva, trovata in fase di totale panico e incazzatura, sarà una bella camera, in una bella zona, con una coinquilina un po’ sopra le righe, per la modica cifra di 925£ al mese (spese incluse) – ma questa è un’altra storia.
Torniamo al BOH. Una delle innumerevoli promesse del BOH fu qulla che sarebbe rimasto a Fontamblé per tutta la durata dell’MBA – ma il lettore attento sa che il BOH non mantiene mai le promesse. E infatti dato che abbandonare la sua ragazza a Londra, pagare 60.000€ di quota annuale, partecipare a feste promiscue settimanalmente, essere soprannominato “The Italian Stallion” e vantarsene con la propria ragazza non bastava, il BOH doveva andare per due mesi a Singapore.
Quello che è seguito può (e deve, altrimenti sai che gonfiaggio di ego-BOH a leggere tutto questo) essere sintetizzato in un elenco non puntato: regalo di Natale palesemente comprato dalla madre, regalo di compleanno inesistente, partecipazione ad addio al celibato a mangiare sushi su donna nuda, compagni di viaggio maiali, tutte le compagne di corso sono strafighe, “vieni a trovarmi a Singapore ma il biglietto pagatelo tu e organizza la vacanza qui”, mettere su un gruppo musicale in cui fare cantare una che – a detta del BOH – ci prova con lui dal giorno 0, “a trovarti a Londra? certo, due volte in un anno”, racconti di feste in cui persone sposate impegnate fatte suore fanno praticamente orge che neanche a Maial College, esibizione a un concerto a cui vai ad assistere con pazza isterica che sale sul palco e strappa la maglietta di dosso al BOH (giustificandosi con “scusa, era uno scherzo, sai somiglia al mio ragazzo”), improvvisa smania totale di andare in Croazia dove suddetti chirichetti andavano, due mesi a distanza in cui il BOH si rifiuta di venire a stare da te anche per un weekend e poi la fine, l’epilogo, l’uscita di scena con un tocco di classe che neanche un film di Woody Allen.
“Siamo alla frutta” – voce di BOH, ore 4:30GMT, una notte di agosto 2016.
Quello che voleva essere un post di riaggancio della mia attività blogghereccia in cui tentavo di spiegare in modo sintetico e simpatico il motivo della mia prolungata assenza si è trasformato in uno sproloquio di 1.000+ parole. Però oh, dovevo mettere in contesto la mia rabbia verso il mondo, incorniciarla, appenderla al muro per giocarci a freccette. Credo di essere entrata in apnea a partire da settembre 2012, quando ho deciso che la realtà che avevo sognato per anni dovesse uscire dalla mia testa e diventare palpabile, senza però rendermi conto che così facendo ho tradito me stessa, rinunciando alle bombole di ossigeno che erano la mia vita: il mare, il teatro, la scrittura, il leggere, la natura, il salmastro, gli amici, i miei, il mio melo piantato in giardino da mio nonno, Haapaluoto, Turku, Livorno, le buche per strada, il motorino, guidare, Vilma.
Adesso che respiro di nuovo mi piaccio, mi ascolto anche quando rantolo, quando tossisco o starnutisco. È faticoso da morire, ma l’unico modo per guarire e non caderci più. L’odio per il BOH si è trasformato in un “qualche giorno mi dimentico che esiste”, la rabbia che rimane è verso me stessa, per essermi voltata le spalle come un’adolescente cogliona di 15 anni per un’idealizzazione bella e buona. Questo flusso di coscienza con molte meno virgole di quelle che servirebbero mi dimostra che ho ricominciato a stare a contatto con la me vera, non la me che voleva lui. Tornerò sul palco a maggio, con i miei Mayor Von Frinzius che ho continuato a sognare regolarmente per quattro anni. Mi sono promessa di passare almeno una settimana all’anno in Finlandia, sulla mia isola di felicità e amore e infanzia e cerotti sulle ginocchia. Ho ripreso a leggere, e non solo libri di economia e marketing che fanno cascare le palle, ma libri che mi piacciono, che mi emozionano, che mi fanno ridere e piangere. Non passo più le domeniche a pianificare i pasti della settimana, le serate a cucinare e a mangiare a tavola con i film in proiezione; arrivo a casa da un frigo che a volte ulula, a volte cucino, a volte leggo e altre guardo un film. Scrivo. Mi piaccio, mi guardo allo specchio e dico “oh guarda sta figona”, dopo quattro anni a sentirmi dire che non ero bella ma “particolare” e “dovresti fare più palestra”.
Per troppo tempo ho voluto raccontare questa storia come una “storia di asincronie croniche” durata 11 anni, ma la verità è che per aggrapparmi all’idea che avevo del BOH l’unica cosa da cui mi asincronizzavo era me stessa. Che poi il BOH il bello ce lo ha, ce lo aveva, ha solo deciso di uccidere quella parte di sé e concimare l’involucro sterile e superficiale nel quale si sente più a suo agio – mentre io, cocciuta, continuavo a raschiare la superficie.
Adesso che sono quasi le una di notte potrei mettere un punto a questo monologo che credo abbia raggiunto il livello di “pietoso”. E siccome mi piace uscire di scena da finta diva, chiudo ringraziando il grande protagonista di stasera, BOH, per avermi fatto riscoprire me stessa in tutto il mio splendore lentigginoso.